Ispettorato del Lavoro: chiarimenti su responsabilità in solido

In caso di appalto di opere o servizi, il lavoratore dipendente ha due anni di tempo, a decorrere dalla data di cessazione dell’appalto, per far valere i crediti retributivi e contributivi verso il datore di lavoro/appaltatore.

Il limite massimo di due anni, però, non vale per gli Enti previdenziali: in questo caso l’azione diretta verso il committente per il soddisfacimento della pretesa contributiva del dipendente è soggetta alla sola prescrizione ordinaria decennale.

È quanto precisato, nella Nota n. 9943-2019, dall’Ispettorato Nazionale del Lavoro (INL) che ha fornito chiarimenti sul termine entro cui è possibile far valere la responsabilità solidale del committente per debiti contributivi.

La fattispecie è disciplinata dal decreto legislativo 276/2003, il quale prevede che, in un rapporto di appalto, il committente è obbligato in solido con l’appaltatore, entro il limite di due anni, a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi, comprese le quote di trattamento di fine rapporto, i contributi previdenziali e i premi assicurativi dovuti in relazione al periodo di esecuzione del contratto di appalto.

In base al nuovo chiarimento dell’INL, però, il limite dei due anni, dopo i quali decade il diritto del dipendente, si può applicare solo e soltanto all’azione esperita dal lavoratore e non già a quella dell’Ente previdenziale.

Come recentemente stabilito anche dalla Corte di Cassazione, il rapporto di lavoro e il rapporto previdenziale sono tra loro distinti, poiché l’obbligazione contributiva facente capo all’INPS, a differenza di quella retributiva, deriva dalla legge e ha natura pubblicistica, quindi è soggetta solo alla prescrizione in dieci anni.